arcVision 30 – Industriarsi

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L’industria manifatturiera nel contesto globale: quali strategie e azioni finalizzate alla gestione del processo di reindustrializzazione nelle aree e nei distretti in situazione di crisi.

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Industrialmente

Uno spettro si aggira per l’Europa, lo spettro dell’industria… Il vecchio continente, incubatrice della nascita del settore secondario e ormai orfano di quel settore terziario avanzato che si supponeva capace di una spinta economica molto più longeva, sembra tornare a pensare alla necessità di riportare a nuova vita, con i dovuti aggiornamenti, quell’attività manifatturiera che l’aveva resa protagonista dell’evoluzione economica e sociale. Come l’Araba fenice, dalle ceneri della deindustrializzazione sparse nei vari Paesi dell’Unione sembrano nascere i germogli di una nuova concezione di industria che sappia far coesistere progresso economico e progresso sociale, nella sintesi di uno sviluppo sostenibile.

È utopistico pensare di sviluppare nuove fonti di energia, accrescere la produttività, sostenere la dinamica dei consumi, e utilizzare allo stesso tempo la crescente ricchezza per l’acquisto di qualità ambientale, luoghi di lavoro, e prodotti sempre più sani e sicuri? Welfare o reindustrializzazione?

La macchina economica che ha sostenuto nel secolo scorso i Paesi occidentali, colpita dagli effetti del facile consumismo da un lato e da insufficienti investimenti a lunga visione dall’altro, ha visto indebolirsi la propria capacità produttiva; globalizzazione e delocalizzazione hanno trasformato questi Paesi in economie di servizi deputando le aree di più recente industrializzazione a “fabbrica del mondo”.

Minore costo del lavoro, manodopera sufficientemente qualificata, minori pressioni fiscali, incentivi agli investimenti stranieri e tecnologie più accessibili sono solo alcuni dei fattori che hanno cambiato il contesto mondiale in cui operano le imprese. Trent’anni di globalizzazione hanno visto competere le aziende in una sfrenata corsa all’internazionalizzazione e agli investimenti e i lavoratori ingranaggi di un meccanismo che, alla prova dei fatti, ha determinato una riduzione dei costi di produzione ma allo stesso tempo una perdita della capacità di acquisto e a condizioni sociali meno favorevoli sfociati nella crisi globale dell’ultimo decennio.

Studi recenti dimostrano ora che la delocalizzazione nei Paesi emergenti non rappresenta più la discriminante fondamentale per la scelta di un nuovo impianto produttivo: aumento dei salari, spese doganali, costo dei trasporti, difficoltà culturali sono solo alcune delle cause che rimettono in discussione i paradigmi del recente passato. Per l’Occidente sembra arrivato il momento di una Terza Rivoluzione Industriale che, sotto la chiave di lettura della Sostenibilità, favorisca un’idea di economia di mercato ecologica e sociale attraverso l’adozione di politiche industriali coraggiose e di lungo periodo. Anche gli Usa hanno avviato, seppure in sordina, una politica di “reinternalizzazione” di molte produzioni industriali, favorita da più fattori tra cui una riduzione del divario fra i livelli dei salariali domestici e quelli esteri e una maggiore indipendenza energetica legata allo sfruttamento dello shale gas.

Sull’altra sponda dell’Atlantico, l’Unione europea ha approvato durante la prima seduta plenaria del Parlamento europeo del 2014 la strategia RISE (Renaissance of Industry for a Sustainable Europe) ponendo come priorità principale dell’Europa la salvaguardia dei settori produttivi e del know-how per un rapido recupero della propria competitività basata su innovazione tecnologica e imprenditoriale.

Il Ghostbuster dell’Occidente è il Rinascimento Industriale.

 

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