arcVision 21 – Ritorno ai fondamentali

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Origini, responsabilità e possibili vie d’uscita dalla crisi attuale per un ritorno all’economia reale, alla produzione e alla ricchezza del lavoro umano.

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Ritorno alle basi

Neo-keynesiani o neo-liberisti? Protezionisti o monetaristi? Se fino a qualche mese fa era impensabile una qualunque critica al sistema economico del libero mercato, ci troviamo ora ad assistere alla delegittimazione del modello globale, alla contestazione del capitalismo finanziario.
La globalizzazione attuale rispetto a fenomeni storici comparabili dell’Occidente, siano essi la globalizzazione dell’impero romano o quella inglese di fine Ottocento o quella degli Stati nazionali di Bretton Woods, manca di un potere centrale regolatore e riequilibratore e si caratterizza invece per una sostanziale anarchia dove l’unica legge sembra essere quella del mercato e della concorrenza competitiva che condiziona gli Stati nazionali e ne limita la sovranità economico-produttiva. Le promesse della globalizzazione sono state tradite: la convergenza economico-finanziaria tra le diverse aree del globo si è trasformata in una redistribuzione disequilibrata della ricchezza, la rimozione di barriere e dazi e la rapidità di proliferazione dei fenomeni hanno finito con l’esporre i mercati agli effetti delle crisi finanziarie straniere. Due decenni di eccezionale crescita hanno ceduto il passo a scetticismo e incertezza per l’eccezionale rapidità con cui si è conclusa una fase storica ricca di prospettive di sviluppo economico, sociale e culturale su scala planetaria.
Il crac dei grandi colossi finanziari americani, la fragilità dell’economia Usa, la crisi energetica e l’emergenza clima, la caduta di credibilità dell’Occidente come modello economico da imitare e una recessione che non risparmia i paesi emergenti impongono riflessioni serie e contromisure tempestive.
Da un lato chi invoca un intervento regolatore dello Stato attraverso salvataggi bancari, sostegno all’industria nazionale, chiusura delle fabbriche decentralizzate all’estero, pacchetti di interventi pubblici a favore del mercato interno e dell’economia locale. Un mix di misure protezionistiche che permetta maggiori controlli e restrizioni sui movimenti di capitale con una conseguente definanziarizzazione del sistema produttivo e la fine del dominio dei mercati finanziari sull’economia reale.
Dall’altro chi, di fronte alla crisi, intravede lo spettro del protezionismo come male assoluto da combattere ed errore da non ripetere: il Buy American Act del ‘30 e le leggi protezionistiche inglesi del ‘31 acuirono la Grande Depressione e trascinarono il mondo nell’incubo della stagnazione degli anni Trenta, e via via al nazionalismo e alla Seconda Guerra Mondiale. Le tentazioni stataliste rappresentano la reazione classica alla recessione, la soluzione più rassicurante, ma non la più efficace: le crisi sono cicliche ed endemiche al capitalismo e al libero mercato, i rischi fanno parte del gioco, ma le economie aperte crescono e innovano più delle economie chiuse e sono le uniche a generare nuova occupazione. La riparazione dei bilanci di imprese o di istituti di credito di fatto già falliti finirebbe col produrre unicamente perdite di efficienza, asfissia degli investimenti privati e impennate inflazionistiche.
Difficile trovare la ricetta giusta, di certo c’è che il Libero Mercato non è stato in grado di autoregolamentarsi e che la globalizzazione non può essere lasciata a se stessa, ma va governata. Non si tratta di dire “globalizzazione sì” o “globalizzazione no” ma “globalizzazione, quale”: se il mercato acquista una dimensione globale anche le regole – e le responsabilità – economiche, politiche e sociali devono essere fissate a livello globale. La ricapitalizzazione del sistema bancario, la creazione di liquidità e la riduzione delle imposte a sostegno dell’imprenditorialità e dell’economia reale sono tutti interventi necessari e urgenti, ma di per sé non decisivi sul piano sistemico. Risultati efficaci e duraturi sono invece da ricercarsi negli investimenti in innovazione e tecnologia e in una nuova finanza virtuosa nella quale il ruolo dei mercati monetari sia di alimentare e sostenere lo sviluppo, concorrere a una corretta informazione ed educazione dei cittadini in materia economica, incentivare all’accumulo di capitale umano più che di capitale materiale o finanziario. Ritorno ai fondamentali, dunque, ritorno al lavoro per tornare a produrre ricchezza. Un “Back to Basics” che non sia solo slogan per il rilancio dell’economia reale, ma concreto momento di ripensamento sociale e culturale, occasione per una nuova architettura della finanza mondiale, ma anche occasione per una nuova architettura urbana a misura d’uomo. “Torniamo alle sedie-sedie, alle case-case, alle opere senza etichetta, senza aggettivi, alle cose giuste, vere, naturali, semplici e spontanee” Gio Ponti (1949).

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