arcVision 14 – Il nuovo clima

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I cambiamenti climatici rappresentano una sfida globale. Una sfida che impone nuove  politiche ambientali ed energetiche, più efficaci strategie tecnologiche ed economiche e maggiori sinergie tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo.

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Per un pugno di gradi

Se il clima economico, inteso come complesso di situazioni politiche e sociali che caratterizzano un determinato periodo, è sempre stato uno dei parametri di riferimento per la definizione delle attività di qualsiasi impresa, non meno fondamentale sta diventando in questi anni l’attenzione dell’economia reale per il clima inteso nella sua accezione originaria come insieme delle condizioni meteorologiche. Un elemento – per mutuare un riferimento alla dialettica sindacale di tempi meno recenti – che non si può più ritenere come “variabile indipendente” del valore della produzione e in generale dell’economia. In altre parole il fattore clima non può più essere inteso solo come un semplice costo da cui proteggersi con eventuali paracaduti assicurativi (seppure di significativo valore come sanno bene le compagnie di riassicurazione).
La globalizzazione dell’economia da un lato e la maggiore attenzione per garantire uno “sviluppo sostenibile” come condizione necessaria per una crescita duratura dall’altro, hanno imposto al mondo delle imprese e in generale alla politica economica internazionale di affrontare in un quadro sistematico questo problema.
Avvenimenti climatici terribili come i recenti uragani negli Usa o le alluvioni che hanno iniziato a colpire frequentemente l’Europa con caratteristiche quasi tropicali, hanno portato molti economisti a lanciare un allarme sull’impatto di questi eventi sulla crescita mondiale. Non saranno solo gli Usa, quindi, a dover pagare il tributo economico a Katrina con una contrazione di circa mezzo punto della crescita del Pil previsto per il 2005, così come non si potrà isolare geograficamente ogni altra conseguenza di un mutamento climatico i cui effetti sono d’altro canto ancora ben lungi dall’essere definitivamente identificati. Ma non per questo possono essere male interpretati o sottovalutati.
Il confronto fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo verso un maggiore equilibrio economico non può quindi prescindere da questo argomento. Un pugno di gradi di calore in più sulla Terra, per le sue potenzialità catastrofiche, non può essere il pegno da pagare per garantire lo sviluppo. D’altra parte la crescita economica, intesa come maggiore benessere globale, non può essere fermata sancendo ancora di più la cesura fra un’area (minoritaria) di benessere e una zona del mondo (che ne rappresenta la maggioranza) che sempre più intensamente sostiene il suo ruolo crescente nel panorama della economia globalizzata. Non può quindi esistere il falso problema “o crescere o inquinare” ma piuttosto si deve trovare una soluzione per “crescere in maniera sostenibile” (e non solo a livello ambientale).
L’attenzione in questi ultimi tempi si è quindi spostata sul tema del controllo delle emissioni di carbonio, su una loro programmazione coerente con un impegno alla riduzione pur in un quadro che tenga conto delle necessità di crescita dell’economia. Il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore all’inizio del 2005, prevede ad esempio per i paesi della Ue un calo delle emissioni di gas serra in media dell’8% (rispetto al 1990) fra il 2008 e il 2012. La Ue – come sottolinea in questo numero di arcVision il responsabile comunitario per l’ambiente Stavros Dimas – ha già affrontato i primi passi fra cui il Protocollo di Kyoto “che sebbene presenti alcune debolezze, è un passo in avanti nella giusta direzione”, soprattutto grazie al programma ETS che oltre a coniugare meccanismi (finanziari) di mercato con le necessità del settore industriale, incentiverà il trasferimento di tecnologie ecocompatibili verso le nazioni in via di sviluppo. E anche gli Usa, che pure non hanno aderito al protocollo, rimarca Harlan L. Watson del Dipartimento di Stato, sono impegnati su un piano a lungo termine di riduzione delle emissioni. La cooperazione fra i diversi paesi in un’ottica di sviluppo sostenibile – sostiene poi Björn Stigson, presidente del World Business Council for Sustainable Development – è un impegno irrinunciabile anche alla luce degli sviluppi industriali (e conseguentemente della maggior richiesta di energia) già on-going dei principali PVS, Cina e India in primo piano. Ma se Kyoto è uno dei mezzi per raggiungere lo scopo di minori emissioni di gas serra – sottolinea Lester R. Brown fondatore dell’Earth Policy Institute, nel suo Plan B 2.0: Rescuing a Planet Under Stress and a Civilization in Trouble – un altro tema fondamentale è quello dell’efficacia dei sistemi di produzione di energia, soprattutto con tecnologie che non utilizzino fonti fossili e non rinnovabili. Un primato, quello dell’efficienza energetica, che fino agli anni 80 – ricorda Roberto Della Seta, presidente di Legambiente – era, fra i paesi europei, appannaggio dell’Italia. Il dibattito è avviato e necessita di continui contributi.
Sviluppo sostenibile ed efficienza energetica applicate sul campo sono le linee guida della sezione Projects di questo numero. Se un edificio deve essere “poesia e macchina” i progetti illustrati ne sono un esempio. Le necessarie revisioni delle legislazioni edilizie sono invece lo strumento perché queste dimostrazioni siano il punto di partenza per una applicazione di nuovi standard energetici.

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