Bergamo, 7 marzo 2014
arcVision Prize 2014: nella short list 21 progettiste provenienti da 15 Paesi: Austria, Cile, Egitto, Francia, Germania, Giappone, India, Irlanda, Italia, Marocco, Portogallo, Spagna, Svizzera, Thailandia, USA.
Sandy Attia – Italy
Egiziana di origine, spinta dalla formazione in ambito internazionale Attia approda professionalmente nella Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige, Regio Felix dell’architettura pubblica italiana. Qui si stabilisce a Bressanone dove è co-fondatrice dello studio MoDus Architects (con Matteo Scagnol). Cosciente di una fase storica dove casualità e circostanze diverse fanno parte della condizione del progettista, adatta il suo linguaggio architettonico alle particolari situazioni di lavoro. In questa ricerca è guidata dalle diverse possibilità dei materiali in evoluzione, e dall’interesse per funzioni multiple. Così per una centrale termica realizza una copertura utilizzabile dai ragazzi per le evoluzioni con gli skateboard, mentre nell’edificio per un’azienda produttrice di legno, coniuga l’uso del materiale come componente di regolazione climatica, qualificazione sostenibile dell’edificio, interessante esercizio formale e compositivo.
Jenan Azmi – Egypt
Nell’ultima generazione di progettiste che perseguono un’idea di architettura adeguata alla cultura e all’evoluzione della società egiziana, Jenan Azmi è una delle più giovani: dopo un’esperienza formativa in studi professionali importanti, ha fondato il suo studio Tasmimat nel 2009. Qui cerca di sviluppare per gli edifici un’identità autonoma dal comune immaginario dell’architettura nord-africana. Tra le sue prime prove in corso di realizzazione, il complesso residenziale e turistico Portal to the Sea a Quseir, sul Mar Rosso, riutilizza materiali da costruzione sia per le unità abitative che per le residenze degli impiegati, che dispongono così di migliori condizioni di vita e di lavoro.
Lucía Cano – Spain
Figlia d’arte, dopo un periodo di collaborazione con Julio Cano Lasso, uno dei principali architetti modernisti spagnoli, Lucia Cano si fa conoscere nel 2009 con l’iconico edificio per il suo studio Selgascano (con Josè Selgas): una singola unità completamente trasparente all’interno di un bosco. Dichiara esplicitamente di non voler ampliare la dimensione dell’ufficio, rimanere concentrata sul tema dell’architettura costruita, dove porta però elementi di riflessione anche filosofica uniti alla forte attenzione all’uso dei materiali, in funzione scenografica oltre che strutturale. La gamma degli edifici realizzati comprende diversi centri congressi e spazi per la cultura e il divertimento: in particolare a Badajoz, dove il sito originale della Plaza de Toros viene reinterpretato con una struttura semitrasparente e luminosa, a Plasencia si ripete il gioco delle trasparenze con un contenitore translucido che contiene le funzioni per l’incontro e la discussione, a Merida un playground per adolescenti diventa un segno urbano multicolore.
Alessandra Cianchetta – Switzerland
Inizia l’attività di architetto collaborando con diversi studi in Italia e Spagna: con AWP – Office for Territorial Configuration fondata nel 2003 (insieme a Marc e Matthias Armengaud) sviluppa numerosi progetti legati alla riconfigurazione del territorio su diverse scale: dalla più piccola di interventi di rivitalizzazione di centri storici (Norwegian Wood a Sandnes, Norvegia) alla più vasta come nel master plan per l’area antistante la Grande Arche a La Défense di Parigi. La quantità di edifici realizzati è ancora limitata, ma in progetti come Poissy Galore (centro multifunzionale nell’area di Possy, Ile de France) si intravede la ricerca di un linguaggio architettonico innovativo, basato sulla libera composizione di forme e archetipi della modernità, adeguatamente rivisti.
Maria Claudia Clemente – Italy
Tra i progettisti delle ultime generazioni che stanno ricostruendo una nuova identità dell’architettura italiana, Maria Claudia Clemente con lo studio LABICS (insieme a Francesco Isidori) si distingue – oltre che come una delle pochissime architetto donna – per essere riuscita nella realizzazione di una importante macrostruttura di interesse pubblico, con funzioni integrate per i servizi e la cultura. Il MAST di Bologna, completato nel 2013, è interamente realizzato da un privato (gruppo Coesia) che ha voluto però dare alla città un centro aperto a tutti. Qui Maria Claudia Clemente realizza anche un’integrazione tra disegno di elementi costruttivi prodotti in serie e composizione architettonica complessiva: il risultato è una combinazione di rigore neomoderno e forte espressività geometrica. Lo stesso impegno a combinare leggerezza e solidità della costruzione viene applicato al tema dell’abitazione, nel complesso Città del Sole, uno dei pochi insediamenti di alta qualità architettonica nel difficile contesto edilizio romano.
Sharon Davis – Usa
La pratica professionale di Sharon Davis sarebbe quella comune a molte donne architetto (edifici residenziali, interior design) se non fosse per l’incontro con l’associazione Women for Women International, un’organizzazione non profit per l’aiuto alle donne
in condizioni difficili, fondata da una rifugiata dall’Iraq di Saddam Hussein. La sua più recente e conosciuta realizzazione, il Women Opportunities Center a Kayonzo (Ruanda, 2013) contrasta infatti nel linguaggio con la “normalità” delle altre sue costruzioni, a cui contrappone nel WOC ricerca dell’essenzialità e soluzioni tecniche molto semplici per risolvere problemi fondamentali (ombreggiamento, recupero delle acque, risparmio energetico). In un altro centro realizzato in Kosovo qualche anno prima, sempre in collaborazione con WfW, l’architettura è ridotta a un semplice e funzionale volume geometrico.
Anne Demians – France
Nella tradizione pubblica francese da sempre attenta allo sviluppo dell’architettura, Anne Démians ha avuto l’opportunità, in dieci anni di attività con un suo studio, di sviluppare l’idea di edifici “su misura” per condizioni urbane difficili. Sono nati così il CCXX – l’unità che fornisce i pasti alle scuole del XX Arrondissement di Parigi – che con un linguaggio scarno ma efficace rappresenta anche un segnale di riqualificazione per il quartiere. Anche per nuove idee e soluzioni sul tema della sostenibilità il tema di intervento è quello dell’edilizia sociale: la forma architettonica del progetto Basic Carbon si rifà all’immagine del diamante, considerato un simbolo della purezza del carbonio nella sua forma solida, materiale che in forma gassosa (CO2) è invece l’agente principale dell’inquinamento globale. Anne Démians dimostra così la sua attenzione alla concretezza delle esigenze sociali, combinata alla ricerca di una dimensione ancora estetica per l’architettura.
Laura Fogarasi Ludloff – Germany
Dopo un periodo di formazione presso importanti studi di architettura berlinesi (Ortner & Ortner, J. P. Kleihues, D. Chipperfield) Laura Fogarasi-Ludloff fonda nel 2007 lo studio Ludloff Ludloff (insieme a Jens Ludloff). Il suo lavoro si caratterizza per un uso consapevole di forma e colore, precisione esecutiva e attenzione scrupolosa al miglior uso possibile delle risorse energetiche. Tra gli edifici più rappresentativi di questa posizione, il Centro Ricerche Sedus si distingue per come riesce a evocare una dimensione “narrativa” dell’edificio, caratterizzato da un rivestimento che con lo scorrere della luce nei diversi momenti della giornata “trasforma” l’architettura stessa, da opaca a trasparente. Nel 2010 Fogarasi-Ludloff hanno formato con altri piccoli studi l’associazione Team 11, per realizzare nell’area berlinese progetti a più ampia scala urbana.
Roisin Heneghan – Irland
Nata e formatasi professionalmente in Irlanda, inizia la sua attività a New York in uno studio con Shih-Fu-Peng, che si trasferisce poi a Dublino. Interessata alla progettazione infrastrutturale oltre che architettonica, Roisin Heneghan pone l’accento sulla dimensione
territoriale della costruzione, grazie anche ad occasioni come il progetto per il Centro Turistico del Giant’s Causeway, una serie di grandi formazioni geologiche che rappresentano l’unico sito in Irlanda eletto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. Il suo più importante progetto in costruzione è il Museo Egizio nell’area delle Piramidi di Giza, un imponente complesso che una volta realizzato metterà in dialogo visivo e infrastrutturale i reperti archeologici e le Piramidi originali.
Anna Heringer – Germania – MENZIONE D’ONORE
Dal suo studio di Laufen in Germania, Heringer cerca di realizzare la visione di una responsabilità sociale e culturale dell’architettura, considerata anche come strumento per sensibilizzare il pubblico degli utilizzatori ai propri diritti alla qualità di vita attraverso la qualità degli edifici. Le realizzazioni più emblematiche di questa visione sono in Bangladesh il Training Center di Rudrapur, dove sperimenta l’utilizzo di tecniche “povere” e intelligenti soluzioni per una sostenibilità integrata, e in Cina un piccolo progetto per l’ospitalità: due ostelli per giovani uomini e donne e una casa per gli ospiti, che rielaborano tecniche costruttive locali (pietra e mattoni di terra cruda) in forme ispirate alla tradizione, reinterpretata con l’uso del colore e della luce.
Margarita Jover Biboum – Spain
Gli ambiti di intervento di Margarita Jover Biboum sono ampi, si estendono dall’architettura del paesaggio alle infrastrutture e agli edifici pubblici. In tutti la “bellezza” del costruito è progettata attraverso la rinuncia alla ridondanza e all’opulenza, nella ricerca di un delicato equilibrio tra artificio, natura e necessità degli utenti. L’apparente “leggerezza” di questo metodo si traduce in costruzioni anche massicce, come il Centro Culturale Mill di Utebo o la Centrale Termica DHC di Zaragoza, che però a una visione più attenta risultano “smaterializzati” con soluzioni inventive, come le pareti/schermo della centrale DHC che proiettano immagini d’arte notturne, in un tentativo di riconciliazione tra la difficile questione dell’energia e il senso di appartenenza a un territorio che solo l’architettura può creare nelle persone.
Shimul Jhaveri Kadri – India – MENZIONE D’ONORE
Shimul Kadri è particolarmente interessata a conciliare una condizione egualitaria e democratica dell’architettura con le necessità dell’espressione individuale. Ha così sviluppato un linguaggio eclettico, che va dalla citazione di elementi della tradizione indiana (come la terracotta impiegata per la copertura di una fabbrica a Karur) all’elegante declinazione del linguaggio modernista negli uffici per la Nirvana Film, una delle sue realizzazioni più conosciute. Questa “ispirazione flessibile” le permette di sviluppare ambienti di lavoro innovativi e allo stesso tempo confortevoli, per conciliare esigenze dell’impresa e bisogni dei lavoratori. Nella tipologia della residenza individuale riesce a sperimentare soluzioni strutturali più libere per creare spazi fluidi tra interno ed esterno come nella casa unifamiliare a Alibaug, Maharashtra.
Momoyo Kaijima – Japan
Dietro la sigla Atelier Bow-Wow, uno studio ormai conosciuto tra gli addetti ai lavori per le sue sperimentazioni, opera Momoyo Kaijima (insieme al cofondatore Yoshiharu Tsukamoto) con una speciale attenzione all’idea di architettura come performance: diversi suoi edifici hanno o sembrano avere carattere temporaneo, legato alle attività diverse che ospiteranno, sempre legate al contesto sociale dove sono collocate. Così è per il Guggenheim/BMW Mobile Lab installato per la prima volta a New York, il Global Center di Aichi o il Myashita Park di Shibuya (Tokio): quest’ultimo è un piccolo giardino dove il verde, seppure limitato, riesce a creare uno spazio di alleggerimento dell’affollatissimo contesto urbano giapponese. Il linguaggio complessivo di Momoyo Kaijima, sicuramente non ortodosso o standardizzato, è aperto alle più diverse possibilità formali.
Aitzpea Lazkano Orbegozo – Spain
In pochi anni di professione (apre il suo primo studio nel 2002), Aitzpea Lazkano Orbegozo è riuscita ad affrontare diverse tipologie di edifici, quasi tutti in piccola scala, ma che presentano un approccio originale a temi ricorrenti dell’architettura contemporanea.
Nell’intervento di rivitalizzazione di un edificio storico – Casa della Cultura ad Aiete – crea un nuovo trasparente nucleo di attrazione con un linguaggio spettacolare, contrapposto alla normalità della preesistenza “borghese”: mentre in un complesso per imprese del settore audiovisuale a San Sebastian utilizza liberamente superfici ed elementi costruttivi, a sottolineare lo spirito creativo che
anima le attività svolte nel complesso.
Inês Lobo – Portugal – LA VINCITRICE
Ines Lobo, Come molte delle progettiste nominate per quest’edizione, anche Ines Lobo inizia a lavorare con un proprio studio all’inizio degli anni Duemila: nella sua produzione ha un ruolo importante il tema della riconversione edilizia, che è occasione per liberarsi dagli schemi precostituiti della recente “Scuola Portoghese” (Alvaro Siza, Eduardo Souto de Moura). In questo scenario Ines Lobo apporta una particolare attenzione a creare, anche nella dimensione relativamente ridotta dei suoi interventi, edifici con un particolare valore simbolico. Così nella scuola Avelar Brotero di Coimbra combina trasparenza dei materiali e solidità delle strutture, nella Facoltà Universitaria di Arte e Architettura di Évora si rifà all’immagine archetipica della casa per sviluppare una struttura lineare, mentre nel riadattamento della sede di un’impresa di costruzioni (Uffici Ferreira a Porto) crea un interessante contrappunto tra la nuova addizione e l’edificio storico.
Salima Naji – Morocco
Con una formazione mista di architetto e di antropologa, la giovane Selima Naji (si è laureata in Francia nel 2002) lavora principalmente sul recupero del patrimonio storico monumentale del Marocco, che comprende numerose insolite tipologie: come i granai della regione montagnosa dell’Anti-Atlante. Particolarmente importante è il lavoro che viene effettuato con le maestranze locali, di cui viene recuperato il sapere di una tradizione antica, rinnovata nella ricostruzione – il più possibile filologica – degli edifici “com’erano, dov’erano”. Nel progetto per il Museo di Tiznit, realizzato a partire da una fortezza del XIX secolo, il materiale principale è la terra battuta, che si rivela avere interessanti proprietà per il risparmio energetico e l’equilibrio termico.
Françoise N’thépé – France
Fondato nel 2001 (con Aldric Beckmann) lo studio Beckmann-N’Thépé è attivo in campi diversi, dalla scenografia all’architettura. Quest’ultima rimane il focus principale d’interesse di Françoise N’Thépé, che con alcuni edifici pubblici ha avuto modo di esprimere la sua capacità di controllare masse e volumi dell’architettura, con composizioni tra pesante e leggero, declinate in materiali e cromatismi originali. Più riuscita nel risultato finale sembra la Biblioteca Universitaria alla Cité Descartes di Champe sur Marne, un blocco massiccio che poggia su una base vetrata trasparente, mentre le residenze sociali Zac Massena di Parigi risultano molto massicce, quasi incombenti – forse per lo schema iniziale che aderisce alle rigide linee guida indicate da Christian De Portzamparc.
Cecilia Puga – Chile – MENZIONE D’ONORE
La progettista sudamericana Cecilia Puga rappresenta il Cile, una delle aree geopolitiche con il più interessante sviluppo di una nuova generazione di architetti autonomi dal mainstream internazionale. Più che all’estetica di superficie, Cecilia Puga è interessata a soluzioni strutturali che diano maggiore libertà e flessibilità agli edifici. Poetica e ironica l’ispirazione di una delle sue prime opere, la Casa di Vacanze a Baia Azul composta in un gioco di coperture invertite. Nella Biblioteca SLGM per Providencia è forte l’impronta neobrutalista delle strutture in cemento a vista, alleggerite da grandi spazi vetrati verso l’esterno. Uno schema ripreso con maggiore leggerezza nel Palacio Pereira a Santiago del Cile, un edificio storico riconvertito a Facoltà Universitaria, dove gli spazi di relazione funzionale fanno anche da elegante connessione tra antico e moderno.
Kanika Ratanapridakul – Thailand
Titolare dal 2004 dello studio Present Spacetime di Bangkok, Kanika Ratanapridakul cerca una strada culturale alternativa all’influenza fuorviante esercitata dall’enorme quantità d’informazione oggi disponibile sulla produzione globale d’architettura. Concentra quindi la sua attenzione sui temi della sostenibilità, con l’uso di materiali ecocompatibili e di soluzioni costruttive ingegnose. Così il suo design concept per Baan Oun Rak (un centro sperimentale per la riabilitazione di bambini) si fonda sull’ottimizzazione del rapporto con la natura, privilegiata per il comfort rispetto a quello che possono dare macchine e impianti. Ovviamente favorito dal clima, il progetto per una casa unifamiliare a Surin, crea con la stessa semplicità di materiali grandi spazi di pacificazione con la natura thailandese.
Brinda Somaya – India
Con 35 anni di esperienza, Brinda Somaya è una “veterana” dell’architettura indiana contemporanea. Eppure il suo approccio progettuale rimane sempre originale, rafforzato dalla nuova stagione di sviluppo economico dell’India e del suo patrimonio artificiale e naturale, di cui Brinda Somaya si dichiara “guardian” con la sua professione. Controllo delle masse costruite, ricerca sul colore, relazione tra spazio interno e spazio verde sono elementi ben miscelati nei suoi progetti, principalmente di interesse pubblico: come l’edificio per servizi della Tata, la più grande corporation indiana, o il Goa Institute of Management (a Sanquelim) dove viene ricreato
un armonico rapporto tra i volumi dei diversi edifici del complesso e il paesaggio naturale circostante.
Ada Tolla – Usa
Con lo studio LOT-EK (fondato insieme a Giuseppe Lignano) Ada Tolla cerca di creare architetture parlanti un nuovo linguaggio della tecnologia, fondato sul recupero di manufatti tecnologici contemporanei. Tra questi manufatti ricorrono nel lavoro di Tolla i container per spedizioni, considerati archetipi di abitacolo e simbolo stessi del sistema delle merci, recuperati in positivo: così nella Apap OpenSchool di Anyang (Corea) le forme originali dei container vengono tagliate ad arte per creare una vivace struttura colorata, mentre nella più conosciuta Puma City i container sono agganciati tra loro e trasformati in un negozio itinerante per l’azienda di articoli sportivi. Per le aree colpite dall’Uragano Sandy, Ada Tolla e LOT-EK hanno progettato un sistema integrato naturale/artificiale, dove unità abitative prefabbricate sono protette da aree verdi allagabili per resistere alle inondazioni.
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