arcVision 27 – Sviluppo

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Un’analisi situazionale dell’attuale panorama economico-congiunturale per focalizzarne contesto e problematiche, alla ricerca di nuovi modelli di sviluppo per affrontare la crisi mondiale e costruire nuovi scenari positivi.

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Crescita, sviluppo, capitale umano

Per crescita economica si intende convenzionalmente l’aumento della quantità di beni e servizi prodotti da un’economia nel corso del tempo, espresso come tasso percentuale di incremento del PIL su base annua al netto dell’inflazione. L’uso del PIL pro capite come principale indicatore del livello di sviluppo di un paese, insieme a variabili di tipo monetario quali consumo e reddito come unità di misura del benessere, hanno finito col ridurre la teoria della crescita a una analisi unilaterale di fattori a danno della componente storica, etica e umana. Il rapporto tra gli indicatori della crescita generalmente in uso e il benessere è però molto più controverso. Così come controversa è la relazione tra crescita economica e sviluppo economico.
Concetto più ampio e articolato di quello di crescita, lo sviluppo economico comprende indubbiamente l’insieme delle azioni per migliorare le condizioni di benessere di una comunità calcolate in termini quali aspettativa di vita, livello di alfabetizzazione e scolarizzazione, tasso di povertà, ma anche, e non meno importante, una visione olistica del progresso inteso come qualità ambientale, tempo libero, cultura, sicurezza, equità sociale. Dove la crescita è uno dei mezzi e non il fine ultimo dello sviluppo, e dove gli esseri umani non sono strumenti per l’aumento del reddito e della ricchezza, ma protagonisti del proprio welfare.
La crisi finanziaria ed economica degli ultimi anni ha messo ben in evidenza i limiti della teoria della crescita e, senza arrivare a derive ed estremismi che la demonizzano, è giusto riprogettare il nostro modello di sviluppo ispirandolo a principi di promozione di equità sociale, tutela ecologica e durabilità. Una revisione impellente questa, dettata da una situazione che va aggravandosi e non si risolverà in tempi brevi. “Siamo passati da una crisi finanziaria a una crisi economica che si sta ora trasformando in crisi occupazionale. Questa, in alcuni paesi del mondo può diventare sociale e umana”. Così dichiarava l’ex presidente della World Bank, Robert B. Zoellick, a inizio 2009. Pochi mesi fa, poco prima del termine del suo mandato quinquennale, ammonendo il G20 sul rischio di un “momento Lehman” europeo, aggiungeva “Sarebbe preferibile che, anziché continuare ad accumulare debiti, i paesi dell’Eurozona si concentrassero sui fondamentali della loro economia, investendo nella crescita, tanto sulle infrastrutture che sul capitale umano”.
Indipendentemente da quali che ne siano state le cause, che a fare i giochi sia stata la divaricazione tra economia reale e finanza o la superiorità della finanza sulla produzione o ancora la sfiducia nella leadership dei governi, assistiamo ora a un acceso dibattito sui rimedi, dove nessuna ricetta sembra funzionare, che si tratti di monetarismo o neo-keynesismo, spesa pubblica o rigore, intervento statale o libero mercato.
E dunque, quale crescita? E quale sviluppo? E se invece non dovesse esserci una ripresa economica e ci dovessimo trovare costretti a confrontarci con una vera e grave recessione, obbligati a rivedere i nostri modelli di vita e limitare il nostro campo d’azione, si può asserire con certezza che non diventi questa stessa decrescita occasione di crescita morale e sviluppo umano?
Pur mantenendo l’assunto che la crescita economica è e rimane un obiettivo primario degli stati e della società, si impone oggi la necessità che si impari a riconoscerne i difetti intrinseci e fisiologici e che dell’attività umana la si consideri una dimensione importante e non la discriminante maggiore.

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