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arcVision 29 – Quale Capitalismo

 

Le grandi aziende familiari: un modello organizzativo vincente in un contesto segnato da una crisi finanziaria globale e una fase di recessione economica.

Un capitalismo che cambia

Questo numero di arcVision coincide con i 150 anni dalla costituzione della società che ha dato origine all’odierno Gruppo Italcementi. 150 anni di ricerca scientifica nel settore dei materiali da costruzione e di rapporto costruttivo con il territorio, forte di un’esperienza familiare e una tradizione aziendale radicata profondamente nella cultura industriale italiana. La rivista intende raccontare attraverso il contributo di studiosi e personalità di rilievo del panorama economico internazionale una transizione epocale che sta operando una profonda revisione degli attuali modelli di crescita e di sviluppo. Una transizione che si auspica associ la creazione di profitto a una maggiore attenzione per gli aspetti non materiali della vita umana e ristabilisca rapporti virtuosi tra etica, economia e finanza. Dove le aziende abbiano uno scopo più grande della sola massimizzazione dei profitti. In questo importante passaggio storico ci troviamo a essere spettatori di una crisi strutturale del modello di capitalismo manageriale che, se nella sua dimensione “produttivista” ha contribuito all’ampia diffusione di welfare economico e sociale e all’arricchimento della classe media, nella sua fase “azionaria” si è rivelato talvolta responsabile di una finanza autoreferenziale incurante dello sviluppo di lungo periodo.

In fase di rivalutazione invece il capitalismo imprenditoriale, che rappresenta sicuramente il modello gestionale più diffuso nella storia economica dell’Occidente caratterizzata principalmente da aziende individuali, familiari, o a limitata partecipazione societaria. Al family business viene talora imputata una certa rigidità gestionale e una scarsa vocazione all’innovazione, dettate principalmente da una impostazione strategica prudenziale, più focalizzata sulla conservazione nel lungo periodo che sulla crescita e gli investimenti in R&S. Allo stesso modo, la concentrazione proprietaria può presentare delle importanti criticità relativamente ai passaggi generazionali, sia per quanto riguarda la funzionalità operativa dell’azienda sia per il mantenimento del controllo del capitale da parte della famiglia.

Nonostante queste debolezze il modello organizzativo di tipo familiare si è rivelato vincente in un contesto segnato da una crisi finanziaria globale e una fase di recessione economica. Suo punto di forza è la coincidenza tra proprietà e management dove la mancanza di conflitti permette che le decisioni gestionali coincidano con il profitto dell’impresa. Gli obiettivi di lungo periodo prevalgono sui risultati a breve termine e la frequente mancanza di quotazione permette che questo tipo di imprese siano sollevate dall’obbligo di rispondere alle esigenze degli azionisti di monetizzazione immediata dell’investimento. Altri vantaggi includono la continuità di leadership, un’identità più forte, un più saldo legame con il territorio e le comunità locali, e una più naturale e autentica condivisione di vision e valori all’interno della cerchia familiare.

In un capitalismo che cambia, segnato da una crisi finanziaria che ha gettato molte nazioni in un clima di recessione, le aziende familiari sembrano poter rappresentare ancora una volta un’alternativa e un punto di riferimento in una rassicurante linea di continuità. Dove il fine ultimo non sia solo il profitto o l’attrazione di investitori, ma neanche o non solo la salvaguardia dell’ambiente o la responsabilità sociale, a meno che questi obiettivi non siano parte di una visione più grande improntata a un corretto uso delle risorse materiali e spirituali nel pieno rispetto dell’essere umano. Del resto, “Un affare in cui si guadagna soltanto del denaro non è un affare”. Henry Ford (1863-1947).