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arcVision 24 – Nuove Utopie

Le nuove e impegnative sfide del capitalismo moderno per entrare nel mondo di domani: continuare a creare ricchezza e diffondere insieme progresso economico e sociale. Sfida o utopia?

 

 

Quando soffiano i venti del cambiamento

Dal Repubblica di Platone alla Città del Sole di Campanella fino ad Huxley, Orwell e le utopie che nel corso del XX secolo hanno investito ogni forma del sapere umano (politica, scienza, arte, letteratura, architettura e urbanistica): tutte sono l’espressione di una naturale aspirazione al rinnovamento della società, una tensione emotiva verso un mondo perfetto privo di dolore e di falsità. Da sempre il pensiero utopico ha generato “altrovi immaginari”, “mondi alla rovescia”, “terre promesse”, “planimetrie urbane a rigorosa scansione geometrica”. Male di vivere che genera nell’uomo il desiderio di qualcosa di nuovo e di migliore in cui credere, le visioni utopistiche prendono corpo con più consistenza nelle fasi storiche di declino o di transizione, quando cioè maggiore è il carico delle aspettative di cambiamento ideale e reale. Quale miglior terreno, dunque, che l’attuale congiuntura economica per il sorgere di una nuova utopia?
Se il fenomeno “crisi” può essere considerato endemico al sistema capitalistico del quale scandisce i cicli di crescita e rallentamento, la recessione globale di questi anni merita di essere meglio indagata nella sua funzione positiva di leva del cambiamento, momento di passaggio ed evoluzione. Come tale, se le ragioni che l’hanno prodotta possono essere riconducibili a una visione dell’economia in quanto scienza naturale, guidata da leggi assolute e fisse, allora la trasformazione che essa prefigura può essere ricercata in una visione dell’economia in quanto scienza dell’uomo.
Il sistema economico occidentale è stato costruito su un ideale homo oeconomicus orientato solo al proprio benessere e privo di impulsi e valenze di natura etica e sociale; il concetto di crescita è stato assimilato a mero aumento quantitativo del Pil piuttosto che a miglioramento qualitativo della vita e del mondo; lo sviluppo scientifico e tecnologico e la necessità di affrontare la sfida della concorrenza internazionale hanno condotto a un’esaltazione delle capacità intellettuali dell’uomo a scapito delle sue virtù spirituali e morali. Ora che il crollo del sistema finanziario ha dimostrato tutta l’inattuabilità di questo apparato, il mercato globale, ma più in generale tutta la società civile, deve trovare un giusto equilibrio tra principi economici e valori etici, tra ricerca scientifica e analisi filosofica, tra imprenditoria e civiltà.
Lo scenario che emerge dalla crisi presente è quello di una società concentrata sul recupero della dimensione spirituale dell’uomo, in quanto valore fondante il sistema politico, economico e urbano.

Utopico? Forse. Ma del resto, le utopie hanno accompagnato la storia del mondo, desiderabili e vaghe, mantenendo intatta nel tempo l’ambiguità propria del termine stesso, nell’uso che ne fece Thomas More nel 1516 nel suo De optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia, lasciando l’uomo a chiedersi quale senso possa avere il perseguirle: “luogo del bene” (eu-tòpos) o non piuttosto “luogo che non esiste” (ou-tòpos)? Sogno o progetto? Modello impossibile da realizzare o solo ancora troppo lontano? D’accordo con Lamartine, ci piace pensare che siano solo verità premature.