arcVision 20 – Stelle e strisce

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Il mondo tornerà a “stelle e strisce”? Le elezioni presidenziali americane e le attese del mondo per un evento decisivo per la futura stabilità del sistema geopolitico internazionale.

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Il futuro delle stelle

Occidente in crisi. Fine del mondo “a stelle e strisce”. Unipolarismo versus multipolarismo o apolarismo? Che volto avranno i nuovi decenni?
Il ventesimo secolo era stato definito il “secolo americano”: la seconda guerra mondiale, se da un lato aveva segnato la crisi degli stati-nazione europei, della loro supremazia internazionale e coloniale, dall’altro aveva permesso l’emergere di un nuovo assetto bipolare dominato dalle contrapposte superpotenze di Usa e Urss. Per oltre quarant’anni il mondo è rimasto in equilibrio fra due differenti modelli economici, sociali e politici. Poi il crollo del Muro di Berlino e nel 1991 lo scioglimento del Patto di Varsavia con lo smembramento dell’impero sovietico hanno preparato l’avvento di un nuovo ordine unipolare guidato dagli Stati Uniti e dalla loro supremazia economica e culturale.
Da qualche anno però stiamo assistendo a un progressivo rallentamento dell’economia americana e alla rapida ascesa di nuovi soggetti politici e nuove economie emergenti pronte a scardinare i vecchi equilibri mondiali. Il divario tra gli Usa e le altre potenze mondiali si va sempre più assottigliando, mentre aumentano i sostenitori di un nuovo futuro assetto multipolare con una ridistribuzione di potere economico, politico e culturale tra pochi attori su scala globale: Usa, Ue, Giappone, Russia, India e Cina.
A ridosso delle elezioni presidenziali americane e mentre si tirano le somme dell’amministrazione Bush gli esperti si dividono così tra “declinisti”, convinti cioè di un ormai ineluttabile declino americano e di un conseguente sistema multipolare, ed “eccezionalisti” sostenitori della “eccezionale” e indefinitamente duratura superiorità del modello culturale occidentale e quindi di un mondo ancora a lungo “a stelle e strisce”. La fragilità del dollaro e del suo status di principale moneta di riserva mondiale, il malessere dei mercati finanziari e il caro-petrolio sono solo alcuni aspetti di una crisi strutturale che ha non solo carattere economico ma sociale e politico e che potrebbe spingere gli Stati Uniti a tentazioni isolazioniste.
Il fallimento del negoziato Wto di Ginevra con il muro contro muro Usa vs. India-Cina è il segnale evidente di una sempre maggiore consapevolezza del proprio ruolo da parte dei due giganti asiatici da un lato, non più solo “emergenti” ma veri e propri protagonisti della scena internazionale, e di un riflusso neo-protezionista dall’altro. Il Doha Round, lanciato nel 2001 subito dopo l’11 settembre a difesa dell’economia globalizzata come antidoto al terrorismo e per la diffusione del benessere nei paesi più poveri, sembra essere giunto al suo ultimo atto. Stati Uniti ed Europa hanno perso il loro potere negoziale, ma Cindia non ha ancora la necessaria dimensione politica, interna ed esterna, per ridisegnare l’assetto geopolitico internazionale. Non si può più parlare di veri e propri centri di potere identificati con gli stati-nazione; il potere è delocalizzato e disperso nelle mani di più attori transnazionali figli della globalizzazione: organismi di controllo economico internazionali (Banca Mondiale, Fmi, Wto…) o regionali (Unione europea, Lega Araba…), organizzazioni non-governative, lobbies e corporations, media e movimenti d’opinione multinazionali nel frullatore mediatico della rete globale. Siamo giunti a una fase di interregno, a una multipolarità dispersa, a un pericoloso apolarismo?
Alle stelle vecchie e nuove della governance mondiale sono dedicate le riflessioni di alcuni tra i più autorevoli esperti di politica e di economia internazionale in questo numero di arcVision: il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, Charles Wyplosz, docente al Graduate Institute di Ginevra, il direttore del Centro per gli Studi Politici Europei Daniel Gros, Paolo Guerrieri, docente all’Università di Roma La Sapienza e Moisés Naím direttore della rivista Foreign Policy, che hanno condiviso con noi la loro visione e sensibilità.
E alle archistar, vere e proprie stelle dello “spettacolo dell’architettura” del terzo millennio è riservata la sezione Projects. Maggiormente esposti alle critiche per l’attenzione eccessiva che sembrano riporre nelle strategie di comunicazione e nella divulgazione della propria immagine, gli architetti mediatici sono molto più semplicemente figli della moderna cultura dell’immagine. Dove però l’immagine va letta nel suo significato più ampio di idea e pensiero, rendendoli protagonisti di un’architettura che non è, e non può più essere, solo “arte del costruire”, ma arte della conoscenza, portatrice di valori e suggestioni.


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