16 – 22 aprile 2012.
Quattro lectures di quattro grandi architetti sul tema “Architetture: Costruire un’eredità sostenibile”.
«Ascolto le pietre, colgo i volti intorno a me. Cerco di costruire ponti verso il futuro fissando il passato con occhi limpidi. Sono ispirato dalla luce e dal suono, da spiriti invisibili, dalla netta coscienza del luogo e dal rispetto della storia».
Daniel Libeskind
Le giornate dedicate all’architettura sono iniziate con Odile Decq, architetto francese vincitrice del Leone d’oro di Venezia, che concepisce l’architettura come un “equilibrio dinamico” attraverso l’opposizione di concetti, forme e di materiali utilizzando prodotti hi-tech come il vetro e il metallo contrapposti a quelli più tradizionali come il legno.
Il giorno seguente, il pubblico ha potuto assistere alla conferenza di Zhang Ke, giovane architetto cinese cofondatore dello studio Standardarchitecture, impegnato nei settori della pianificazione urbana, del landscape design e dell’industrial design, che concentra la propria attenzione nella realizzazione di nuove idee e di visioni urbane.
Protagonista nella terza lecure Mario Cucinella, architetto italiano che ha tenuto una lunga lezione di “empatia culturale” sui temi più ampi della sostenibilità urbana, presentando anche il progetto Building Green Futures, l’associazione no-profit creata per promuovere la progettazione sostenibile e l’uso di fonti di energia rinnovabile per contribuire a migliorare le condizioni di vita dei Paesi in via di sviluppo.
Gli incontri terminati con l’intervento del maestro Daniel Libeskind, che ha richiamato oltre 400 persone tra professionisti e studenti. Sopravvissuto ai lager nazisti, musicista, artista, Libeskind progetta grandi opere culturali, commerciali e residenziali in tutto il mondo tra cui il master plan per il World Trade Center, il Museo Ebraico di Berlino, la Freedom Tower di New York con la sua concezione di architettura interessata alla realizzazione di elementi che vanno dallo spazio urbano a quello più privato, intimo, della casa in cui si muove l’uomo.
Odile Decq si laurea in architettura a Parigi nel 1978 e nel 1980 si associa con Benoît Cornette creando insieme a lui lo studio ODBC (dalle iniziali dei due architetti). Nel 1990 firmano la loro prima opera significativa, la sede della Banque Populaire de l’Ouest a Rennes, edificio che apre loro le porte della notorietà internazionale. Le loro architetture hanno ricevuto decine di premi nazionali e internazionali, tra cui il Leone d’Oro alla Biennale di Architettura di Venezia, il 9th International Prize for Architecture a Londra e il Prix Architecture et Travail a Rennes. Dopo la tragica morte di Benoît Cornette, avvenuta nel 1998, Odile Decq rimane sola alla guida dello studio ODBC. Fra le sue opere più recenti, il MACRO (Museo d’arte contemporanea di Roma), l’Art Hôtel di Pechino, il ristorante dell’Opera Garnier a Parigi, il Museo FRAC di Rennes. È direttore dell’École Spéciale d’Architecture di Parigi e visiting professor in diverse università straniere tra cui la Columbia University. È membro dell’Académie Française d’Architecture, Commandeur des Arts et des Lettres, Chevalier de la Legion d’Honneur e Ufficiale dell’Ordre Nationale du Mérite.
Lecture: Horizons
Horizons, orizzonti. Il titolo della lecture fa riferimento alla linea dell’orizzonte che per chi nasce in Bretagna, come Odile Decq, è una costante del proprio campo visivo. Quando si vive sul mare o si va fuori in barca, la linea dell’orizzonte è il punto che si vuole raggiungere. Ma, avverte Odile, per raggiungere quella linea nel frattempo si deve negoziare, “si negozia con gli elementi della natura, col vento, con la corrente, con le onde, col sole, con gli ostacoli che s’incontrano, per raggiungere quel punto dell’orizzonte che uno si è prefissato”. Poi, una volta che si è raggiunto il punto, ci si rende conto che, in effetti, l’orizzonte è ancora più in là, e si ha ancora voglia di ripartire, di andare ancora più in là, più lontano, più avanti. “Ecco, per me l’architettura è la stessa cosa. I miei progetti sono un partire per un’avventura, per raggiungere un punto che fisso ogni volta che intraprendo un progetto. Poi però, per raggiungere quel punto, mi trovo continuamente a negoziare il percorso con il cliente, con il committente, con i mezzi disponibili, con la regolamentazione o la normativa. Una volta raggiunto il punto di un certo progetto, ho voglia di ripartire di nuovo per una nuova avventura e un nuovo orizzonte”.
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Zhang Ke si laurea in architettura all’Università Tsinghua di Pechino nel 1993 dove consegue anche il Master in Architettura e Urbanistica nel 1996, mentre nel 1998 ottiene il master in architettura alla Harvard University. Nel 2001 fonda lo studio Standardarchitecture, impegnato nei settori della pianificazione urbana, dell’architettura, del landscape design e dell’industrial design. Attualmente i soci di Standardarchitecture sono Zhang Ke, Zhang Hong, Hou Zhenghua e Claudia Taborda. Consapevoli della loro distanza dalle “tipiche” generazioni di giovani architetti cinesi, spesso travolte dalla tendenza all’enfasi, i componenti di questo studio riescono a mantenere un certo distacco dalla frenesia dei media, concentrando l’attenzione sulla realizzazione di idee e visioni urbane. Tra le opere principali, il Beijing DongBianMen Ming Dynasty City Wall Relics Park, una rivisitazione dell’area dove sorgono le rovine delle mura della dinastia Ming, lo spazio pubblico “Dancing Triangles” nell’area di Pudong a Shanghai, il progetto urbanistico per il reintegro delle vecchie mura nel tessuto della città di Xi’an. Tra i premi vinti, il WA Chinese Architecture Award; il China Architecture Media Award (CAMA) nella sezione Best Young Architect; il Design Vanguard (Architecture Record) e l’International Award Architecture in Stone in occasione di Marmomac a Verona.
Lecture: Rethinking basics
Rethinking basics, ripensare gli elementi di base. Promuovendo una ricerca più attenta a interpretare le antiche tradizioni dell’abitare attraverso una sensibilità moderna, legando storia e segno contemporaneo.
Tutti i progetti di Zhang Ke, dal design all’architettura, per quanto “molto diversi dal punto di vista della forma, fanno però tutti riferimento al ‘come’ rapportarsi agli elementi di base. Un ‘come’ che deve riguardare anche i cambiamenti sociali, nonché i cambiamenti tecnici e tecnologici”. Un approccio duro quello di Zhang Ke che già con il suo primo progetto lancia una vera e propria dichiarazione di guerra ai suoi colleghi cinesi. “Quando ho cominciato, ero molto arrabbiato, provavo rabbia, odio addirittura, provavo odio per gli altri architetti in Cina, per gli architetti internazionali e anche per i miei clienti, a causa della cultura di quel momento. Gli architetti che praticavano la professione in Cina edificavano costruzioni senza rapporti con la cultura, oppure recuperavano antiche forme cinesi e cercavano di tirarle fuori dalla tomba per venderle all’estero. Una parte della ragione del perché il mio studio si chiama Standardarchitecture, scritto come unica parola senza il trattino, è da ricercarsi nel fatto che questo nome vuole dare un senso di neutralità senza implicazioni per forme specifiche… un po’ come mettere in discussione gli elementi di base”.
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Mario Cucinella si laurea presso la facoltà di Architettura di Genova nel 1987. Fonda lo studio MCA Architects a Parigi nel 1992 e a Bologna nel 1999. Il suo lavoro è da sempre caratterizzato da uno specifico interesse per i temi legati alla progettazione ambientale e alla sostenibilità in architettura. Tra i suoi progetti: il SIEB-Sino Italian Ecological Building a Pechino; il nuovo municipio di Bologna; il Centre for Sustainable Energy Technologies a Ningbo in Cina; la sede de iGuzzini Illuminazione a Recanati, il Campidoglio 2 a Roma; la stazione Villejuif-Leo Lagrange della metropolitana di Parigi. Insieme all’attività di progettazione architettonica, Mario Cucinella si dedica alla ricerca e allo sviluppo di prodotti di design industriale e all’attività didattica, ricoprendo il ruolo di visiting professor all’Università di Nottingham. Tra i riconoscimenti ricevuti, Energy Performance+Architecture Award, Special Award for the Environment da Cityscape World Architecture Congress, Outstanding Architect 2004 dal World Renewable Energy Congress e il Premio per l’Architettura 1999 dalla Akademie der Kunste di Berlino.
Lecture: Empatia creativa
Empatia come capacità di comprendere appieno lo stato d’animo delle città, dei luoghi, dei territori, contro un modello di architettura molto diffuso che ai luoghi e alle persone è indifferente. Empatia come “una sorta di definizione del principio di sostenibilità”, intesa non solo come dimensione tecnologica e prestazionale del costruire, ma come attenzione a valori che vanno al di là della pianificazione urbana e integrano ecologia urbana, economia e sociologia. “Empatia creativa nasce proprio dall’idea che l’empatia è un momento di ascolto. Si dice empatico di una persona che cerca di capire l’altro, no?” Questo concetto si applica allo stesso modo all’architettura come capacità di costruire comprendendo “il luogo, le persone che si incontrano, le cose che vi succedono, perché quel luogo ha determinate caratteristiche, quali sono gli elementi che lo caratterizzano”. Poi interviene la creatività. “La creatività è un elemento importante nel lavoro di un architetto, ma è anche un cavallo pazzo che va domato: la creatività per la creatività porta solo a spettacolarizzazione e stravaganza. La creatività attraverso l’empatia, invece, è l’elemento con cui possiamo veramente dare una risposta intelligente, e in qualche modo sensata, all’architettura di un luogo”.
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Daniel Libeskind nato nel dopoguerra in Polonia, diventa cittadino americano nel 1964. Consegue il diploma professionale di architettura nel 1970 alla Cooper Union for the Advancement of Science and Art di New York City e la laurea magistrale in Storia e Teoria dell’Architettura presso la Scuola di Studi Comparati dell’Università dell’Essex nel 1972. Dall’apertura del suo studio a Berlino nel 1989, Daniel Libeskind progetta grandi opere culturali, commerciali e residenziali in tutto il mondo tra cui il master plan per il World Trade Center, il Museo Ebraico di Berlino, la Freedom Tower di New York. Tra i progetti recenti, il Grand Canal Theatre di Dublino e il Crystals at CityCenter di Las Vegas. In fase di realizzazione, il progetto di riqualificazione CityLife della storica Fiera di Milano, Kö-Bogen, un complesso di uffici a Düsseldorf, la Torre L a Toronto, Riflessioni a Keppel Bay, due milioni di mq residenziali a Singapore; Zlota 44, una torre residenziale a Varsavia e l’Haeundae Udong Hyundai Park, uno sviluppo ad uso misto a Busan, Corea del Sud, che una volta completato, comprenderà il più alto edificio residenziale dell’Asia. Daniel Libeskind ha ricoperto incarichi come titolare della cattedra Frank O. Gehry presso l’Università di Toronto, docente presso la Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, in Germania, titolare della cattedra CRET presso l’Università della Pennsylvania e della cattedra Louis Kahn alla Yale University. Ha ricevuto numerosi premi tra cui l’Hiroshima Art Prize 2001, un premio dato agli artisti il cui lavoro promuove la comprensione internazionale e la pace, mai assegnato prima a un architetto.
Lecture: Counterpoint
Counterpoint, contrappunto. Nel linguaggio musicale il contrappunto è la presenza, in una composizione o in una sua parte, di linee melodiche indipendenti che si combinano secondo regole tramandate dalla tradizione musicale occidentale. Daniel Libeskind, musicista per formazione, traduce questo principio nel suo progetto di architettura. “Chiaramente il concetto è musicale, ma il contrappunto è anche la vita, non ci sarebbe vita senza il contrappunto: tutto nella vita, ogni movimento, ogni pensiero, ogni desiderio spirituale è impostato su un movimento di contrappunto. In un certo senso il contrappunto è un concetto, una definizione metafisica, filosofica, di quello che io credo sia un linguaggio. L’architettura per me è un linguaggio, un dispositivo per raccontare storie. Certo utilizza la materia, calcestruzzo, vetro, etc, ma l’architettura per me è ‘storia’, la storia di tante cose del passato che siamo sempre sull’orlo di perdere. Al tempo stesso, però, è anche ‘possibilità’, possibilità future che il linguaggio dell’architettura apre all’uomo. Quindi un linguaggio degli esseri umani che comunicano, un linguaggio che ci permette di guardarci gli uni gli altri, di comprendere il passato e muoverci verso il futuro. Questo per me è l’aspetto più ispirante dell’architettura.
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