arcVision 25 – Mediterraneo

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Una riflessione sulla situazione dei paesi che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo alla luce degli avvenimenti del Nord Africa e della loro influenza non solo nella regione ma nell’intero scacchiere geopolitico mondiale.

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 Mediterraneo

Il 1492 segna lo spostamento dell’asse centrale della storia moderna dal Mediterraneo all’Atlantico lungo le grandi rotte oceaniche e rappresenta la rottura fisica prima che culturale con il Vecchio Mondo e il suo “mare tra terre”, millenario crocevia di civiltà.
L’atlantizzazione dei commerci e la nascita di una nuova economia-mondo avvia una progressiva discriminazione del bacino mediterraneo, in seguito ulteriormente marginalizzato dalle politiche coloniali inglese e francese dell’800, frammentato nel proprio assetto geopolitico dai due conflitti mondiali, diviso dagli antagonismi della guerra fredda, esposto all’unipolarismo statunitense, incendiato dal conflitto arabo-israeliano.
Il Mediterraneo ha scritto da più di cinquemila anni un capitolo importante della storia dell’uomo; punto di intersezione di tre continenti, di tre civiltà e di tre religioni. Viva combinazione di commerci, climi, culture, caratteri antropologici, architetture, ma anche sciagurata culla di crociate, guerre, persecuzioni, questo mare condivide con i popoli che vi si specchiano una identità comune costruita sulla molteplicità, la comunicazione e la consapevolezza dell’altro. L’attuale momento storico, le dinamiche di globalizzazione e delocalizzazione delle imprese, e le recenti sollevazioni popolari del Nord Africa, lanciano al Mediterraneo una nuova sfida: quella di riassumere l’antico ruolo strategico, in quanto “luogo di mezzo”, “luogo di mediazione”. Erano questi in definitiva gli obiettivi della Dichiarazione di Barcellona del 1995 declinati sul piano politico, economico e culturale: obiettivi a tutt’oggi “attesi”. In questo momento il Mediterraneo rischia di apparire come un mare lacerato, un “mare tra conflitti”, una gigantesca polveriera, un dimenticato cimitero, dove le rivolte degli ultimi mesi appaiono prive di un disegno e di una prospettiva, come priva di un progetto appare l’Europa, incapace di azioni unitarie in tema di confronto sui flussi migratori e incapace di assumersi responsabilità concrete a livello internazionale. Ma le vicende dei paesi del Nord Africa che hanno infiammato la sponda sud del Mediterraneo si sono raccolte intorno al fuoco della democrazia e della civiltà, e non sotto la pira dell’integralismo. La loro forza nasce dalla mancanza di una parola d’ordine religiosa e dalla capacità di dare unità a un variegato panorama di spinte laiche e liberali. E gli esiti futuri, quale che ne sia la forma, non potranno che avere portata mondiale.
Ai governi occidentali, allora, il compito di partecipare alla gestione del cambiamento con l’impegno a trovare una strada che scongiuri fenomeni di destabilizzazione e sconvolgimenti geopolitici.
E al Mediterraneo il compito di recuperare la sua dimensione culturale e il suo ruolo di soggetto internazionale in grado di far dialogare oriente e occidente, agendo come propulsore di innovazione e formazione, volano di cultura e produzione. Perché possa a tutti gli effetti riappropriarsi del suo status di crocevia e motore di crescita, è necessario che si doti di un modello di sviluppo fondato sulla libertà politica ed economica, sola condizione per una feconda ibridazione, un dialogo produttivo che sappia passare attraverso società, produzione e ambiente.
Non più “mare nostrum” ma “zona di libero scambio” e “mercato complesso e complessivo”, il Mediterraneo del futuro potrà essere attore strategico di uno scenario multipolare di cui si dovranno ridisegnare i confini.

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