Novembre 2015
arcVision n. 32 è dedicato a “Noi e la macchina. Cronache dal futuro della civiltà tecnologica”. Lavoro intellettuale e processi cognitivi sostituiti da sistemi computerizzati sempre più potenti e sofisticati o piuttosto lavoro collaborativo e condivisione di competenze, in cui il meglio dell’intelligenza del robot si unirà al meglio dell’intelligenza dell’uomo?
Incognito, ergo sum
Per l’uomo c’è ancora speranza?
Cos’è l’intelligenza? Non più relegato alla semplice quantificazione del QI, il concetto di intelligenza è al centro di un animato dibattito tuttora aperto. Se nel corso del XX secolo l’intelligenza è stata considerata principalmente un’entità misurabile, oggi si è inclini a pensare che esistano diversi tipi di intelligenza. Psicologi e neuroscienziati non concordano però né su come i diversi tipi di intelligenza siano correlati tra loro né se possano esistere indipendentemente gli uni dagli altri.
La critica più comunemente mossa ai test del quoziente intellettivo è quella di essere in grado di valutare solo alcune tra le nostre facoltà mentali, quali il ragionamento astratto e logico, la rapidità nell’apprendimento e il potere di memorizzazione, ma non il problem-solving o l’abilità di valutare e reagire alle circostanze variabili dell’ambiente esterno. Secondo la teoria delle intelligenze multiple dello psicologo statunitense Howard Gardner l’uomo è dotato di nove aree intellettive afferenti a parti diverse del cervello e indipendenti l’una dall’altra: intelligenza linguistica, logicomatematica, spaziale, corporeo-cinestesica, musicale, interpersonale, intrapersonale, naturalistica, esistenziale o teoretica. Il problema è trovare un modo per quantificarle. Come calcolare la nostra predisposizione a rapportarci agli altri o la nostra capacità di riflettere sull’esistenza e l’universo?
Gli enormi progressi nel settore delle neuroscienze e la localizzazione neurologica delle diverse funzioni mentali aprono la strada a una nuova visione dell’uomo. Le tecniche di brain imaging sempre più sembrano dimostrare che quanto pensiamo e proviamo abbia una natura essenzialmente materiale e sia il prodotto di complesse attività cerebrali. Sembrerebbe quasi un ritorno al naturalismo aristotelico che, respingendo qualunque dualismo tra sostanza materiale e spirituale, riconduce ogni pensiero ed emozione umani a un diverso stato del corpo. Le teorie a sostegno di una identità di cervello, mente e coscienza ricondotta a semplice stato fisico diventano terreno operativo agli studi sull’intelligenza artificiale e alle ipotesi scientifiche che vedono realizzabile in futuro il trasferimento della mente (mind uploading) da una sostanza biologica quale il cervello a un sistema informatico. Secondo molti futurologi, infatti, i computer saranno un giorno in grado di eseguire una dettagliata scansione e mappatura delle funzioni cerebrali per costruire una perfetta simulazione del cervello umano. Nonostante l’acceso dibattito e gli scetticismi in ambito scientifico e filosofico, quello del trasferimento tecnologico della mente resta comunque una “minaccia” affascinante… robot umanoidi dotati di sentimenti ed emozioni e supportati da modelli anatomici tridimensionali che simulano il corpo!
Ma, non sarebbe forse più utile per l’essere umano limitarsi a costruire sofisticate macchine intelligenti in grado di eguagliarne e superarne i processi cognitivi logico-matematici, così semplificando e migliorando la qualità della vita? E poi, siamo certi che abbia senso riprodurre l’essere umano se “i tre quarti delle malattie delle persone intelligenti – dice Marcel Proust – provengono dalla loro intelligenza”?