19 progettiste da 15 paesi del mondo le Nominees della prima edizione dell’arcVision Prize – Women and Architecture.
GIULIA ANDI – Germania
Italiana, Giulia Andi lavora da molti anni tra Germania – dove conduce lo studio LIN con Finn Geipel) – e Francia, dove ha completato due dei suoi progetti più importanti. Il primo – The Bunker – è uno spettacolare riadattamento di una base per sottomarini tedeschi a Saint Nazaire, sulla costa atlantica, trasformato in centro culturale e per spettacoli. Il secondo è la Citè du Design a Saint Etienne, che consolida in un nuovo complesso costruito il lavoro fatto nella città dalla fine degli anni 90 per la diffusione della cultura del design. Nel caso del Bunker la dimensione teatrale e scenografica è naturalmente aiutata dalla spettacolare dell’edificio originale. Nella Citè du Design emerge più chiaramente il lavoro di innovazione progettuale, realizzato attraverso invenzioni tecniche e strutturali, che genera uno spazio artificiale in dialogo con luce ed ambiente esterno. Nei suoi scritti, Giulia Andi sottolinea spesso quanto è importante per il suo lavoro la condizione di madre: il rapporto con la creatività dei bambini le fornisce continui spunti di innovazione.
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Izaskun Chinchilla – Spagna – MENZIONE D’ONORE
Ancora molto giovane (laureata nel 2001) Chinchilla arriva alla costruzione da una formazione essenzialmente teorica e dall’attività didattica (Bartlett School, London: Ecole Speciale, Paris): il suo primo progetto realizzato è il recupero di un castello medioevale costruito su pre-esistenze arabe, adattato a Mediateca pubblica e musica. Per la particolare natura dell’area isolata in cui sorge, il castello verrà utilizzato nel corso dell’anno in modo flessibile, con un più ampio uso degli spazi aperti in estate: le strutture emergenti di questo intervento pubblico richiamano in forma molto aggiornata la verticalità delle strutture medievali circostanti, in un tentativo di ridare identità contemporanea a un tessuto storico a lungo abbandonato. Nell’intervento su uno spazio privato, la Casa Carmena, il linguaggio espressivo di Chinchilla si sviluppa essenzialmente nelle superfici e in elementi decorativi basati su geometrie astratte (che in realtà citano le pennellate di un quadro impressionista di Manet).
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RACHAPORN CHOOCHUEY – Tailandia
Con il pragmatismo caratteristico delle più recenti generazioni di progettisti, Choochuey si accosta come architetto a situazioni di lavoro estremamente semplici: un mercato all’aperto, case/negozio in disuso caratteristiche dell’urbanizzazione di Bangkok nel secolo scorso. Per intervenire nella loro ricostruzione e riuso o nella reinvenzione di queste tipologie, si ispira alla tradizione vernacolare locale, portata ad una ancora maggiore essenzialità e integrata con strumenti per l’autonomia energetica (pannelli solari). Naturalmente favorita dalle particolare condizioni climatiche la sua è un’architettura fatta di trasparenza, luce, aria ma soprattutto delle interazioni tra le persone che essa crea: si attende quindi che questo interessante approccio si sviluppi in architetture di più grande importanza, anche se Choochuey dedica anche molto del suo tempo all’insegnamento in Thailandia e all’estero.
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WINKA DUBBELDAM – USA
Professionista e docente universitaria, Dubbeldam fonda la sua ricerca progettuale e formale su una forte componente tecnologica e scientifica, combinata all’attenzione per le trasformazioni in corso nella società e nella città. Olandese, ma basata con studio a New York (Archi-Tectonics), lavora sul territorio globale cercando soluzioni “customizzate” per il committente e gli utilizzatori. Essenziale nel lavoro dello studio è la funzione del team, che comprende le competenze tecniche classiche (ingegneri, sviluppatori) ma si estende quando necessario a ricercatori come quelli del MIT Media Lab, come per il progetto Smart Q-Tower Philadelphia, che utilizza energia geotermica e sistemi automatici di controllo del clima. Nel caso della MCF Academy di Monrovia (Liberia), l’attenzione alla sostenibilità si combina all’uso di materiali locali e soluzioni costruttive semplificate, per creare un ambiente protetto e allo stesso tempo aperto destinato alla vita e all’educazione di 200 bambini orfani: il progetto è stato donato da Dubbeldam alla Macdella Cooper Foundation, che cura la realizzazione della MCF Academy.
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FRIDA ESCOBEDO – Messico
Laureata in architettura a Mexico City, Escobedo ha come riferimento culturale la scena americana e internazionale, su cui si muove molto abilmente pur essendo ancora molto giovane. Il riferimento più forte alla difficilissima situazione sociale ed economica del suo paese è soprattutto la condizione di “non-finito” o meglio “mai-iniziato” della città e del territorio, che la porta ad intervenire su temi molto sentiti, come l’arte populista messicana del XX secolo: per il Museo David Alfaro Siqueiros (insieme a Diego Rivera, il più famoso pittore “muralista” del Messico post-rivoluzionario) si basa su uno spazio industriale utilizzato negli anni Sessanta e Settanta come studio dall’artista, circondandolo con semplici strutture murarie semitrasparenti create da elementi in cemento a vista. Per un’installazione temporanea nell’Eco Museum, sempre a Mexico City, crea una struttura esterna, una sorta di playground per adulti o bambini, utilizzando ancora una composizione seriale di elementi poveri modulari.
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NANDA ESKES – Brazile
In un paese come il Brasile, dove forme di una nuova architettura faticano ad affermarsi sotto il peso di una forte tradizione modernista, il lavoro di Nanda Eskes appare in sintonia con il nuovo modello di sviluppo politico del Paese, che non intende più “lasciare indietro” la parte della popolazione storicamente svantaggiata, rispetto alle classi più ricche e colte. Un esempio di questo approccio radicale è il Legacy Centre per la Homeless World Cup – un campionato mondiale di calcio per i senzatetto che si tiene annualmente e nel 2010 si svolgeva a Rio de Janeiro. La costruzione è realizzata con un budget molto basso, struttura in metallo e pannelli in legno: costruita in soli tre mesi ospiterà l’Istituto Bola Pra Frente, creato dal campione di calcio brasiliano Jorginho per assistere bambini e ragazzi che vivono condizioni sociali pericolose. Così anche il Centro Culturale Morro de Alba è destinato al pubblico di massa per un coinvolgimento diretto nelle forme di espressione artistica di strada e di quartiere.
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SHAIRA FAHMY – Egitto
Lo studio Shaira Fahmy Architects è guidato da una professionista ancora giovane ma già molto affermata in un campo di attività molto vasto, che va dalla costruzione di quartieri residenziali a centri commerciali, fino ai parchi industriali. Può essere considerata rappresentante di una scuola di pensiero che assume in pieno le forme della cultura occidentale d’avanguardia, per inserirle nel paesaggio e nel tessuto suburbano medio-orientale: è il caso del Compund “Allegria” o del complesso commerciale Designopolis lungo l’autostrada Cairo/Alessandria. Il linguaggio delle forme e delle strutture (che impiegano principalmente cemento armato) è molto eclettico e va dalle citazioni di certo decostruttivismo delle origini fino a un “International Style” molto aggiornato nelle case unifamiliari. Intensamente attiva in campo internazionale con conferenze e presentazioni, Shaira Fahmy partecipa a numerose esposizioni di architettura e design.
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LUISA FONTANA – Italia
Figura originale nel panorama italiano, Luisa Fontana si dedica a una personale ricerca progettuale, anche sul piano formale, al di fuori degli schemi correnti. I suoi riferimenti vanno dall’architettura organica dell’ultimo Wright a certe ricerche “pop” sugli abitacoli minimi, ma in generale il suo è un linguaggio autonomo, con cui cerca di superare le resistenze tradizionaliste nell’Italia fortemente condizionata da vincoli storici e monumentali. Anche se opera in una città “minore” (Vicenza) le sue opere si distinguono per riuscire a portare i valori della ricerca in un territorio non sempre disponibile all’innovazione. Seppure ridotti nelle dimensioni, i suoi interventi – esemplare il caso dell’Urban Center di Thiene – cercano di affermare con forza la presenza della contemporaneità e la possibilità di una sua convivenza con la città storica. Interessante è anche la sua esperienza- di designer, svolto nella robotica con l’azienda veneta Euroimpianti.
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BELINDA HUANG – Singapore
Dirige a Singapore arc studio, insieme all’architetto Khoo Peng Beng. È uno studio professionale emergente nel panorama già molto dinamico dell’architettura del Sud Est Asiatico, con cui Huang realizza numerosi edifici, dove sperimenta un linguaggio contemporaneo, non privo di elementi spettacolari, soprattutto nel campo dell’edilizia residenziale. La sua ricerca progettuale si applica anche alla componentistica, come nel caso del Pinnacle@Duxton, sette torri (fino a 5° piani) per un totale di 1848 appartamenti: qui gli abitanti hanno avuto la possibilità di scegliere tra diversi elementi di facciata (finestre, fioriere, balconi), così da “personalizzare” il proprio appartamento e da creare un immagine del complesso più varia e alleggerita. Particolarmente attiva nel campo delle iniziative di interesse sociale e umanitario, Belinda Huang ha tra i suoi progetti in corso quello per l’ampliamento della Don Bosco Technical School di Phnom Penh (Cambogia).
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CARLA JUACABA – Brazile – VINCITRICE
Come Nanda Eskes, l’altra architetta brasiliana che partecipa al Premio, Juacaba si sottrae alla pesante influenza del modernismo storico per elaborare forme d’intervento e di costruzione più vicine alla natura provvisoria ed effimera del reale contesto brasiliano. Il suo intervento più spettacolare in questa direzione di ricerca, il padiglione Umanidade 2012 per Rio Mas 20 (la conferenza dell’ONU sullo sviluppo sostenibile) è stato progettato e realizzato insieme ad un’artista – Bia Lessa – che anche è l’autrice del concept progettuale. La costruzione, temporanea, assume un valore ancora più simbolico se si considera che Rio Mas 20 è stato un importante momento per un bilancio globale di quanto viene/non viene fatto per salvare il Pianeta dal disastro ambientale. Non vi è sostenibilità migliore – sembrano dichiarare Juacaba e Lessa – di quella ottenuta con costruzioni a basso costo, velocemente smontabili e continuamente riciclabili, come i tubi per impalcature che formano il padiglione, lungo 170 metri e alto 20.
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ANUPAMA KUNDOO – India – MENZIONE D’ONORE
Fondato su un impiego di mezzi e materiali poveri e molto attento alla funzione sociale dell’architettura, il lavoro di Anupama Kundoo è una convincente alternativa alle nuove forme di International Style che rendono omogenea molta della produzione di edifici contemporanei, anche nei paesi emergenti.
La sua ricerca tende a trovare metodi di costruzione adatti a creare edifici sostenibili con l’impiego di materiali poveri o poverissimi, come i mattoni di terra cruda e poi “cotta” delle Volontariat Homes for Homeless Children di Pondicherry (India), oppure i coni in terracotta e le bottiglie di vetro giustapposte a formare archi come strutture di sostegno nel tetto della Wall House. Questa riproduzione della sua casa in mattoni e materiali di riciclo, installata alla Biennale di Architettura di Venezia 2012, le ha dato la notorietà internazionale: tolta dal contesto originale creava un effetto molto scenografico, poteva però sembrare più un’installazione d’arte – non ripetibile – che una proposta progettuale.
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LIS MIJNSSEN – PAOLA MARANTA – GABI FAEH – Zurigo, Svizzera
Questo raggruppamento rappresenta un caso interessante di integrazione tra diverse competenze per lo sviluppo organico di un’architettura sostenibile. L’imprenditrice e mecenate Lis Mijnssen ha creato un gruppo di progettazione per la costruzione di un complesso misto – abitazioni, centro wellness (Hammam) e parco – con il nome di Patumbah Park. Il gruppo è principalmente formato da donne: Paola Maranta è l’autrice del progetto architettonico (nello studio Miller e Maranta), Gabi Faeh è responsabile per il disegno degli interni e lo sviluppo degli arredi. Tutti i processi di costruzione e finitura, così come i materiali utilizzati sono strettamente controllati dal punto di vista ambientale, secondo i principi dell’architettura sostenibile che Lis Mijnssen ha voluto promuovere: alcuni mobili sono costruiti con il legno di alberi che è stato necessario rimuovere nell’area d’intervento. Le abitazioni sono destinate principalmente a famiglie con bambini, il parco interno al complesso rimane aperto al pubblico e diventa parte integrante del più generale recupero di un’area storica del centro di Zurigo (Villa Patumbah).
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MARTA MNICH – AGNESZKA CHRZANOWSKA – Polonia
Tra le più giovani architette nominate per questo premio (è nata nel 1979), Marta Mnich affronta con successo il recupero del raro patrimonio moderno sopravvissuto alle difficili vicende storiche della Polonia. A Wroclaw (Breslau/Breslavia), città che è stata tedesca fino al 1945, nel Centro Congressi ricavato nel Padiglione per l’Expo del 1913 (sovrastato dal grande edificio a cupole concentriche di Hans Poelzig, la famosa Jahrhunderthalle) vengono reinterpretati con sensibilità ed eleganza i materiali classici del modernismo – vetro e acciaio: l’imponenza del complesso è alleggerita dagli spazi aperti al pubblico, dalle sale di conferenza al ristorante. Così anche il cemento armato – nella riconversione a Museo d’arte contemporanea di un rifugio antiaereo nazista, unico reperto rimasto in un’area completamente distrutta dalle bombe – acquista trasparenza e luminosità con le grandi aperture vetrate. Entrambi gli interventi (di cui Agneszka Chrzanowska è coautrice) ridanno poesia e attualità a due monumenti di un passato difficile per la città e la nazione polacca.
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YUKO NAGAYAMA – Giappone
Colpisce particolarmente la capacità di questa giovane progettista giapponese nel sapersi confrontare sia con l’immagine più formalista dell’architettura contemporanea che con la revisione della tradizione nazionale: in tutti e due i casi i casi con una combinazione di ascetismo e semplicità costruttiva. Per affrontare il tema dell’edificio a uso collettivo, Nagayama sceglie il materiale più economico ed efficiente – il cemento armato con cui è interamente realizzata l’Urbanprem di Aoyama, che grazie ad una forma iperbolica diventa un segno urbano riconoscibile nella confusione tipica di Tokyo. La stessa progettista è capace di creare una scatola magica per il dialogo con la natura e la sua spiritualità, nella tradizione giapponese, con la casa per la Cerimonia del Tè a Chiba: luce, spazio, paesaggio entrano in questo edificio piccolo ma espressivo, con la stessa importanza dei materiali – principalmente legno – con cui è costruita.
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NATALIA PASZKWOSKA – Polonia
Come scrive Dorota Koziara, l’advisor che ha proposto la nomination di Natalia Paszkowska, il lavoro di questa progettista (con 32 anni, la più giovane delle nominate) si distingue “per l’ampia e approfondita attività (…) in progetti dedicati alla promozione, all’educazione e alla valorizzazione sociale e culturale degli spazi e al recupero del territorio, per il lavoro svolto in zone difficili, nel rispetto della memoria dei luoghi e della loro evoluzione in stretto rapporto tra passato e presente”. Paszkowska riesce così a passare da una combinazione di decorazione e spettacolarità del Padiglione Polacco all’Expo di Shanghai, al lavoro più metodico e di “immaginazione filologica” fatto per il Centro Culturale SDK di Varsavia. In tutti i due casi, la citazione della tradizione (i “pattern” delle superfici esterne a Shanghai, i tetti spioventi degli edifici a Varsavia) non è mai folkoristica, ma è sempre interessante come strumento di invenzione architettonica.
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GUNILLA SVENSSON – Svezia
Brillante rappresentante del pragmatismo nordico, Gunilla Svensson interviene con decisione sui temi centrali di un’architettura del welfare: educazione e diritto all’abitazione, da sempre fondamentali nella società svedese, sono la base per la sua ricerca su materiali, tipologie e funzioni dell’architettura. Anche se l’ispirazione di fondo rimane quella “tettonica” del Modernismo, Svensson ottiene soluzioni più libere ed espressive, come nel suo progetto più imponente: il DesignCentrum IKDC dell’Università di Lund, sponsorizzato dal fondatore di Ikea Ingvar Kamprad con una donazione di 30 milioni di Euro. Qui il materiale che prevale nelle facciate e nelle strutture è il legno – simbolo insieme della cultura del design scandinavo e dell’importanza della sostenibilità negli studi effettuati al Centro. Nelle residenze Stanly a Malmoe, impiega invece l’acciaio inossidabile per realizzare pannelli di facciata, che aiutano a ridurre al minimo l’impiego di energia per la climatizzazione dell’edificio. L’interesse per il problema sociale dell’abitazione si sviluppa in altri progetti, dalle Case low-cost al Centro residenziale per giovani autistici, entrambi realizzati a Lund.
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ELISABETTA TERRAGNI – Italia
Anche se vive principalmente negli Stati Uniti, Elisabetta Terragni ha realizzato la maggior parte dei suoi edifici in Italia. Già conosciuta per la risistemazione dell’Asilo Sant’Elia a Como, il capolavoro dell’avo Giuseppe Terragni, reso nuovamente funzionale per l’educazione dei piccoli nel rispetto filologico dell’originale – proprio sul tema della didattica ha realizzato altri interessanti edifici. Tra questi il meglio riuscito sono le scuole materne ed elementari di Altavilla Vicentina. I principi modernisti dell’integrazione tra interno ed esterno, la semplicità dei materiali e delle strutture sono intelligentemente risolti, ma aggiornati con la presenza di elementi giocosi come la grande aula policroma e le curiose sculture in rete metallica, in forma di animali fantasiosi, progettate dall’architetto e designer Aldo Cibic.
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SIRII VALLNER – Estonia – MENZIONE D’ONORE
Autentica sorpresa in una geografia culturale poco conosciuta come quella dell’Estonia, Siri Vallner opera con grande raffinatezza nel rapporto con il contesto storico, anche se il suo obiettivo è costruire edifici dichiaratamente contemporanei. In pochi anni è riuscita così a completare una serie di infrastrutture (per l’educazione, lo sport e la cultura) che sono veri e propri landmark del nuovo paesaggio architettonico estone. Tra queste, la palestra pubblica di Pärnu è la più conosciuta e la più interessante: l’edificio è concepito come una fluida scatola muraria, con una tessitura di mattoni a rilievo, chiusa su un lato e dall’altro aperta con una grande vetrata verso l’esterno – e così simbolicamente verso la comunità e i due edifici storici che ne rappresentano l’identità originale. Dichiaratamente collegato alla memoria di un passato drammatico è anche il Museo delle Occupazioni (quella sovietica e quella nazista) nella capitale Tallinn. Alle motivazioni etiche del lavoro, Vallner aggiunge una particolare sensibilità al tema del genere nella professione dell’architetto: uno dei due studi con cui lavora, Kavakava, è composto da sole progettiste donne.
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MONA ZAKARIA GEORGY – Egitto
Il lavoro di Mona Zakaria è un’interessante eccezione nell’insieme delle progettiste presentate per le nomination: si tratta principalmente di interventi di restauro e recupero di edifici storici, dove nulla viene aggiunto se non come intervento di mantenimento delle strutture, nel massimo rispetto del contesto e dell’immagine tradizionale dell’architettura popolare. Scopo principale di questi interventi è infatti ridare vita al tessuto storico urbano e suburbano egiziano, soggetto a una forte decadenza – per ragioni storiche, ambientali e naturalmente economiche. Molto importante è il coinvolgimento degli abitanti delle zone di intervento, come nel caso dell’area di Masr Al-Qadima al Cairo. La stessa Zakaria racconta di aver iniziato il suo lavoro nell’indifferenza generale dei residenti: ma una volta visto il risultato del primo restauro, è iniziato un importante dialogo, che ha portato nuova vita al quartiere. Gli effetti di questo paziente lavoro non sono tanto spettacolari sul piano estetico e formale, quanto sul piano del miglioramento delle condizioni di vita per adulti e bambini: scuole e centri per l’educazione sono temi progettuali cui Zakaria è particolarmente affezionata.
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